Il "caro" diario di Nanni Moretti: confessioni di un regista sul palco
«Spesso penso che non ho grandi capacità per questo mestiere, non credo di avere un grande talento». E ancora: «Non sono pronto a girare: ho pensato di non presentarmi sul set». Ma anche: «Quando mi vengono in mente delle idee di regia mi stupisco». Dubbi, incertezze, paure di un grande maestro che in privato, nel segreto del suo (caro) diario si dà del dilettante. Anche se è amatissimo, anche se unisce, come pochi, generazioni diverse, anche se ha fatto film come «La messa è finita» e «La stanza del figlio». Anche se si chiama Nanni Moretti. C'è il grande racconto, anche interiore e intimo, di quella follia (o miracolo, se preferite) che è fare cinema nello spettacolo, bellissimo, divertente, emozionante, che il regista di «Tre piani» (in sala dal 23 settembre) ha portato all'arena dell'Astra, mettendosi a nudo come mai prima nel leggere - senza rete - i diari, privati e inediti, scritti durante la lavorazione di uno dei suoi film-culto, «Caro diario», del '93. E da cui esce il Moretti che non ti aspetti, con le sue fragilità, i mille e più intoppi, le notizie che tolgono l'entusiasmo, «che peraltro non c'era neanche prima»: una sorta di confessione liberatoria, ironica e sincera, che ha conquistato il pubblico dell'Astra, sold out da giorni per questa serata speciale, in un certo senso straordinaria - promossa dall'Astra con 24 Fps in collaborazione con Fice Emilia Romagna per la rassegna Accadde Domani - che ha visto Nanni solo in scena, vestito di scuro, un palco spoglio, le note, meravigliose, di Keith Jarrett che sul finale si sono fatte strada. Un'ora per rievocare il parto, sempre complesso, di un grande film, non prima di lasciare al pubblico (che alla fine ha fatto gara per strappare e portarsi a casa le locandine di «Caro diario»...) alcune doverose raccomandazioni: «Sono felice di essere qui, quindi per piacere non filmatemi, non fotografatemi, non postatemi, non taggatemi e non condividetemi: non voglio essere condiviso». Per poi, prima di cominciare, fare anche un'altra precisazione: «Ho eliminato tutti gli insulti ai collaboratori, ma ho lasciato tutti quelli a me stesso: non vale, non è giusto...». Non ha tutti i torti Moretti, perché davvero non si risparmia niente: mette in piazza (pardon, in arena) le sue fobie, le presunte inadeguatezze, l'insicurezza di chi fino all'ultimo confessa a se stesso «Non so se ho voglia di farlo questo film: speriamo che la Rai non trovi i soldi». Cercando disperatamente vie di fuga che non ci sono, o magari attaccandosi al telefono per convincere l'amica produttrice a fare Roma-Panarea-Francoforte in meno di 24 ore perché «la scena è monca». Ma soprattutto rimpiangendo la leggerezza di quei «filmini Super 8 che facevo a 20 anni». Poi si va: ma «comincio il film senza esser pronto». Segue quindi, l'odissea, anche comica di un set, tra scene ripetute 43 volte, inutili campi lunghi, elicotteri che ti portano dentro a un vulcano. Ma nulla basta a sentirsi alla pari - «davanti a lui sono uno zero» - di Edgar Reitz, il regista che quell'anno riempie i cinema d'essai con il capolavoro «Heimat 2». Ma si va avanti, tra la lettera mai spedita ai dirigenti del Pds, travolti da Tangentopoli, e le liti con Renato Carpentieri, già membro per 5 lunghi anni di un misconosciuto movimento stalinista e maoista: e pazienza se non si fa in tempo ad andare a Venezia. Però peccato: «Ho appena comprato una camicia a scacchi che mi piace molto». La leucemia (e quel sorriso in ospedale...), quella sequenza della nave che arriva da Alicudi, le musiche che non vanno bene; tra molte difficoltà il film viene finito: «Non è brutto ma nemmeno bello». Ma ci sono ancora gli ultimi tagli da fare, mentre ci si mette in fila al Teatro 5 per dare l'ultimo saluto (e qui il racconto di Moretti si fa più commosso, più denso) a Fellini. Il film finalmente esce, ha un'ottima accoglienza, ma c'è la tortura delle domande del pubblico, «che non capisco mai». Pubblico che qui però applaude, forte e a lungo. Prima dei saluti e delle raccomandazioni: «Fate attenzione e buona fortuna».