Chiedi la Luna: First Man, quel passo verso la rinascita
Non fatevi ingannare: quello che vola verso il futuro non è un razzo sparato sulla Luna, ma una scatola di sardine lanciata contro Dio. Non c'è l'epica dell'eroismo, i sorrisi da copertina, la fede senza dubbi nella scienza: ma, piuttosto, il buio quando ancora non è notte. E la paura di non tornare più, l'etica del lavoro, il rumore del metallo e di bulloni (che meraviglia il lavoro sul sonoro...) che non smettono di tremare, nella consapevolezza che ogni trionfo, ogni, maledetta, titanica, impresa, è il frutto di una serie di drammatici fallimenti. Perché <First Man>, prima di tutto, è quello: un film sulla morte, sul lutto. Eppure proteso, ad ogni sequenza, verso la rinascita, verso una pace che è cosa diversa, più intima, più segreta, della (vana?) gloria.
La storia vera di Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla Luna: astronauta umile e introverso, consapevole dei suoi limiti e segnato dalla scomparsa della figlia: così come lo racconta – in modo intimo e antieroico – l'enfant prodige di Hollywood Damien Chazelle, il regista appena 33enne che ci ha già incantato con <Whiplash> e <La La Land>.
Svuotato, asciugato, di ogni facile spettacolarizzazione, ma non per questo meno emozionante (sin dalla sequenza di apertura) ed emotivamente coinvolgente, <First Man> (interpretato da Ryan Gosling, bravissimo nel lavorare di sottrazione) è uno space drama interiore, intenso e vibrante, capace di cogliere con un senso quasi malickiano dell'inquadratura (come una sorta di dolorosa tenerezza...) la dimensione più privata di un evento epocale. Un film che costringe la macchina da presa in spazi sempre più angusti, caricando l'intera platea a bordo di un'astronave diretta verso l'ignoto: un viaggio di andata e ritorno nello spazio - infinito e misterioso – dell'anima.